martedì 12 ottobre 2010

Fumetti e cinema - WTF?!



Vorrei tornare brevemente sulla questione fumetto-cinema. La tendenza del cinema di prendere spunti dal mondo del fumetto per realizzare lungometraggi sembra prendere sempre più piede, in modo sempre più massiccio. Tanto massiccio quanto superficiale, mi verrebbe da dire, e – purtroppo – da entrambe le parti.
Da un lato, infatti, il cinema si limita a prendere in prestito personaggi, comprimari, ambientazioni e – ma non sempre – atmosfere, dando per scontato ipocritamente di riuscire a scrivere una buona storia quando il fumetto, da anni, sulle storie ci campa perché storie buone scritte ce ne sono già. Questo, ovviamente, con le dovute eccezioni.
Dall’altro si assiste ad una reazione da parte degli autori che iniziano a scrivere fumetti su committenza, funzionali a un adattamento cinematografico. È il caso di Xerxes, prequel di 300, scritto da Frank Miller quasi in modo che Zack Snyder possa avere un copione su cui lavorare. O di Kick-Ass 2, che cavalca il successo (?) del primo ed è praticamente già annunciato nella sua versione cinematografica quando ancora il primo numero deve venire pubblicato negli States (l’uscita è prevista per il 20 ottobre).
In Giappone una cosa come questa è all’ordine del giorno, visto il quantitativo spaventoso di anime tratte da manga, contro le poche storie originali, ma è vero che nel paese del Sol Levante un manga di successo viene preso in blocco e riversato in una versione animata fedele (si fa eccezione per i filler episode, necessari a evitare i momenti di vuoto dovuti al raggiungimento della versione a fumetti) e per l’autore, ce lo insegnano anche Ohba e Obata nel loro Bakuman, vedere la propria serie trasformata in episodi televisivi non può che essere un ulteriore riconoscimento.

Per la produzione statunitense non è così. C’è la presunzione di saper scrivere la storia di un personaggio solo perché sono decenni che esiste. C’è la presunzione di poter adattare una miniserie epurandola di parti ritenuti superficiali. C’è la presunzione di stravolgerla nei contenuti, nei personaggi e nei loro ruoli, nella trama, così che sia più “appetibile”. Questo e altro.

Alla luce di questo ho molto apprezzato il modo in cui lo staff Image presente al New York Comic Con, appena conclusosi, ha affrontato l’argomento. Su domanda di un fan che chiedeva notizia di eventuali accordi con case cinematografiche per produrre film tratti dai fumetti Image, Tim Seeley (Hack/Slash) ha risposto di avere avuto alcune richieste negli anni addietro. Ha però aggiunto che creare fumetti dev’essere qualcosa che nasce specificamente dalla passione per il fumetto; se poi ci dovesse essere un accordo cinematografico ok, ma – ha aggiunto Ron Marz – la cosa importante, quella che viene prima di tutto il resto, è fare buoni fumetti. Quella è la scelta di un autore di fumetti, scelta che Marz considera migliore di qualsiasi accordo cinematografico.
Ecco qualcuno che dice cose sensate. Un autore di fumetti deve preoccuparsi di quello, di scrivere buone storie, che emozionino il lettore, che lo facciano pensare e – cosa da non dare MAI per scontata – che gli facciano passare un po’ di tempo in modo piacevole. Ovvio che poi un contratto per una realizzazione in pellicola piace a tutti, e non c’è niente di male, ma non penso che ci debba essere una finalità cinematografica al momento di scrivere fumetti.

Il fumetto è un medium potente, molto più potente del cinema dal momento che lascia al lettore la totale libertà del tempo di fruizione. È narrazione, è immagine, è movimento, è simbolismo, è cultura (sia nel senso artistico che in quello popolare del termine), è molto altro e sicuramente molto di più che un canovaccio per il cinema.

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Grazie a Newsarama trovate la trascrizione di quanto detto da Seeley e Marz, assieme a tutto il report del panel Image al NYCC, qualora vi interessasse.

venerdì 1 ottobre 2010

Come NON scrivere un fumetto (parte 2): Biomega

Ho iniziato a lavorare; un lavoro che non ha nulla a che vedere con i fumetti. E allora? E allora ho poco tempo per leggere e scrivere, quindi si rischia nuovamente di non rispettare le scadenze che ci si impone. Secondariamente sono più stanco, e di conseguenza più polemico.

Biomega è una miniserie di Tsutomu Nihei, celebre autore giapponese, famoso per Blame, NOiSE e Abara, che tra le altre cose ha messo una zampata in occidente realizzando Wolverine: Snikt!
Biomega è ambientato in un 3005 che definire apocalittico è usare un eufemismo. Tutto concorre a trasmettere al lettore lo stato di angoscia e pericolo in cui l’umanità è ridotta a causa di un virus – l’NV5 – che trasforma le persone in droni. Quando però appaiono individui in grado di resistere al virus le Industrie Pesanti dell'Estremo Oriente inviano a indagare Zoichi Kanoe.
Impeccabile graficamente per quanto riguarda le ambientazioni e la tecnologia, che l’inchiostro di Nihei descrive nel dettaglio, e un po’ meno per quanto riguarda i personaggi, forse troppo uguali, Biomega rivela la grave pecca di peggiorare gradualmente oltre i limiti concepibili dall’attenzione umana. Dopo un primo numero molto ben realizzato, sia per i personaggi che presenta che per la costruzione di un sistema narrativo solido e interessante, seguono due numeri che confermano (forse un po’ pigramente) l’idea “di facciata” del primo volume.
Poi il tracollo. Gli ultimi tre numeri sono una festa per gli occhi, è vero, ma la trama si fa debole, confusa e a tratti insensata, difficile (ovvio che è un parere personale) da portare fino alla conclusione. C’è chi potrebbe definirle Biomega una serie difficile. Io preferisco il termine “casuale”, perché casuale sembra esser il modo in cui accadono le cose, per non parlare dei momenti in cui – e purtroppo la fantascienza, con la sua licenza di osare, rischia spesso di cadere in questo errore – un deus ex machina appare e risolve una situazione.

Ora. Può essere possibile questo?
No. O perlomeno non dovrebbe. Il livello artistico è alto, quello narrativo non è al suo livello. Il talento di Nihei sembra sprecarsi nell’inconsistenza dell’autonomismo, cosa che si potrebbe facilmente risolvere in una collaborazione, scelta che tuttavia sembra essere rara in Giappone.
Perlomeno, io ricordo pochi casi. Recenti, salvo eccezioni celebri (Kazuo Koike e Goseki Kojima, o il caso di Yoshiyuki “Buronson” Okamura, che ha scritto sceneggiature per Tetsuo Hara, Ryoichi Ikegami e Kentarō Miura), e comunque non considerate come la norma. Ovvio che poi ogni autore ha dietro un gruppo di assistenti, ma è anche vero che questi difficilmente usciranno dal loro status per suggerire qualcosa in merito a trame o character design.

Tutto questo per dire: se il fumetto è narrazione perché diavolo alienare la storia? Perché spesso viene considerata un elemento accessorio da affiancare a uno stile grafico cool?



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BIOMEGA (2007, Panini comics, brossurato con sovracoperta 200-224 pagine in bianco e nero, € 4.50 vol. 1-3; € 5.90 vol. 4-6).
Sceneggiatura e disegni di Tsutomu Nihei.