mercoledì 23 dicembre 2009

Dear Tommy Monaghan...

A Natale sono tutti più buoni.
Io no.
Non vi farò un regalo ma vi darò modo di spendere in modo intelligente, si parli di tempo o di soldi.
Qui sotto, quindi, trovate una top five – in ordine rigorosamente casuale – di cose che dovrete leggere durante le vacanze di natale.
La copertina di Hitman 22 qui a fianco non c'entra niente, semplicemente era a tema.
Non sono necessariamente cose nuove. Di alcune si parlerà in seguito, anche se non so ancora quando, su queste pagine. Di altre no, ma non per questo sono meno importanti.
Tutte cose di cui non si è ancora parlato perché, beh, quelle sono lì sotto, se vi sono piaciute bene, potreste già averle comprate/scroccate/rubate e lette; se, al contrario, non vi sono piaciute il problema non si pone nemmeno.

Quindi sotto:
1. Umbrella Academy TP1. Apocalypse Suite di Gerard Way e Gabriel Ba (Dark Horse).
Calvin & Hulk.

2. Homunculus 1-9 di Hideo Yamamoto (Panini/Planet Manga).
Un viaggio tra le pieghe della mente umana.

3. Fragile 1-2 di Stefano Raffaele (SaldaPress).
Una storia di zombie con tanto cervello (in tutti i sensi).

4. Unknown Soldier TP1. Di Joshua Dysart e Alberto Ponticelli (DC/Vertigo).
La guerra, quella sporca e schifosa, senza concessioni.

5. Jesus Christ. In the name of the gun di Eric Peterson e Ethan Nicolle (Bad Karma Productions) [lo potete leggere online e free QUI].
In fondo è Natale ;)

Il carbone:
Lost+Brain 1-3 di Tsuzuku Yabuno e Akira Otani (Star Comics). Il Death Note dei poveri… solo senza Death Note e senza poveri.

Buon Natale.
Nel caso (meglio mettere le mani avanti, è probabile che io prenda le ferie la settimana prossima... le ferie dal blog, s'intende, e che altro?) buon anno nuovo.
Di certo buone vacanze.

venerdì 18 dicembre 2009

BATMAN: ANNO UNO

BATMAN: ANNO UNO (1986-1987; 2008 Planeta DeAgostini, 136 pagine a colori, € 15,95).
Sceneggiatura di Frank Miller, disegni di David Mazzucchelli.


A quasi cinquant’anni dalla nascita dell’uomo pipistrello, la DC Comics optò per una scelta allora forte (molto meno ai nostri giorni, in cui operazioni simili vengono compiute ormai con una certa frequenza), mettere in mano a un team creativo affermato il compito di rinarrare le origini di uno dei suoi eroi di punta, adattandole in qualche modo ai tempi che correvano.
La scelta cadde su Frank Miller, che in quello stesso anno aveva brillato grazie Devil: Rinascita, lunga storia del diavolo rosso di casa Marvel che, tra le altre cose, ne affrontava le origini mutilandole del loro aspetto “super” e lasciandoci con un violento ninja mascherato calato nei panni di un vigilante urbano. Curiose, in proposito, le parole di Bob Gale riportate in un articolo di Dugan Trodgen: «Adoro Frank Miller e non è mia intenzione screditare il suo lavoro, ma ho sempre avuto l’impressione che, quando cominciò a scrivere Daredevil, in realtà volesse scrivere Batman, così lo trasformò il una specie di cavaliere oscuro»[1].
Fatto sta che ci riuscì, nello stesso anno in cui si concludeva Devil: Rinascita Miller approdava a DC Comics con The Dark Knight Returns e, l’anno successivo, Batman: Year One per trasformare Batman in un violento ninja mascherato calato nei panni di un vigilante urbano.

La storia si apre con l’arrivo a Gotham City di due personaggi di straordinario rilievo: l’allora tenente James Gordon, trasferito alla polizia di Gotham, e il multimiliardario playboy Bruce Waine, di ritorno da un lungo viaggio di addestramento. Nel primo capitolo si assiste così all’ascesa dei due personaggi, ai primi sbagli, ai primi problemi e, nella chiusa, all’alba dei due eroi di Gotham: il poliziotto inflessibile e incorruttibile e il vigilante mascherato. Miller pone poi all’interno del medesimo frammento temporale l’avvio della carriera della ladra acrobatica Selina Kyle, conosciuta ai più come Catwoman, e quella, poi stroncata, del procuratore distrettuale Harvey Dent.
Il cammino dei due eroi è irto e ricco di pericoli e personalità scomode, in una città in cui ormai sono il vizio e la corruzione a regnare; solo assieme riusciranno a far prevalere la legge: l’inizio di una collaborazione, l’inizio di un’amicizia, l’inizio di un mito.

Ad affiancare la sceneggiatura di Frank Miller sono i disegni di David Mazzucchelli, che già aveva collaborato con lo scrittore ai tempi di Rinascita. Lo stile di Mazzucchelli si rivela l’ideale per la definizione dell’aspetto d’esordio del Cavaliere Oscuro, per l’essenzialità di un tratto (che con il quale costruisce sequenze complesse, tra le quali risulta potente il suo giocare con le silhouette, in particolar modo quella dell’eroe. Una piacevole sintesi volumetrica che è impossibile non affiancare al realismo pittorico americano degli anni Trenta, in particolar modo alle tele di Edward Hopper, in cui forte è il senso di isolamento dell’individuo, calato nei nuovi ambienti urbani. Stile, oltretutto, che ben si affianca ad una storia metropolitana e noir – di fatto è questo che è nella rilettura milleriana – e che ricorda le origini dei comic books, pur superandoli per stile e dinamiche grafico-narrative.
Miller, dal canto suo, da il meglio di sé, ancora scevro dal peso che avrà su di lui Sin City, che verrà considerato marchio di fabbrica e tratto distintivo dell’autore di Olney, Maryland. Di fatto le basi dell’opera stanno nelle atmosfere hard boiled presenti in Batman: Anno Uno e Devil: Rinascita, in cui compaiono i suoi elementi tipici, dal vigilante al poliziotto incorruttibile che si erge contro un distretto in mano alla malavita, dagli intrecci tra criminali e poliziotti fino alla figura della dominatrice-guerriera, di cui la sua Selina Kyle è il prototipo che poi verrà meglio sviluppato in Sin City: Un'abbuffata di morte.

Quello che l’autore compie in queste pagine è un’importante operazione di rilettura che imposterà la visione del personaggio negli anni a venire.
Gli anni Ottanta sono gli anni di Raegan e, a livello internazionale, gli anni in cui il domani per molti sembra incerto, alla luce dei balletti politici tra USA e URRS, respirano sulle pagine di Anno Uno; incertezza già denunciata da Alan Moore sulle pagine di Watchmen e che molte storie di supereroi respirano in quegli anni, in special modo, per l’appunto, i due Batman di Frank Miller e l’opera miliare di Moore. Quello che accomuna il lavoro di questi due autori, poi, è la risultante di un processo creativo che porta, nel mondo del fumetto, la figura di un supereroe rinnovato e dallo spessore differente, che si scolla dalla carta e vive di vita propria.
In quest’ottica una rilettura delle origini di Batman ha un forte valore simbolico; è il ritorno di una ritualità che sembrava perduta e che, invece, si ripete, reclamando ad alta voce la necessità di un eroe che si costruisce da zero, un eroe che è super solo nominalmente e non geneticamente.


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[1] In Un nuovo giorno. Squadra 3 – Bob Gale e Phil Jimenez contenuto in L’Uomo Ragno 494, pp. 26-28.


giovedì 10 dicembre 2009

È PRIMAVERA, INTERVISTA A ANTONIO NEGRI

È PRIMAVERA, INTERVISTA A ANTONIO NEGRI (2008, BeccoGiallo, 160 pagine in bianco e nero, €12 o gratis in formato .pdf dal sito di Global Project).
Sceneggiatura e disegni di Claudio Calia.

Dietro all’intervista si nasconde la biografia, la quale, a sua volta, non è altro che un pretesto per parlare dell’Italia.
L’utilizzo del fumetto come strumento di apprendimento di genere – in questo caso storico – accanto a opere imponenti come la Storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi, nel nostro paese non ha attecchito granché, e lo stesso catalogo BeccoGiallo sembra mirare più che altro a figure o avvenimenti specifici. È Primavera offre invece una visione diacronica del paese attraverso i momenti fondamentali della storia di Antonio Negri in una formula che ricorda molto di più i manuali a fumetti in formato manga che spopolano in Giappone.

Realizzata a Venezia tra il Dicembre 2007 e il Marzo 2008, l’intervista condotta da Claudio Calia viene così tradotta nel linguaggio del fumetto con uno stile sintetico che nel suo essere essenziale può ricordare il Mazzucchelli di Città di vetro (ovviamente senza le speculazioni grafico-narrative). La camera, durante l’intervista, non è fissa, ma si muove non presentando mai l’interlocutore nella stessa posizione, cambiando lato, zoomando avanti o indietro, prendendo le distanze, mettendo in evidenza un particolare (spesso la montatura degli occhiali e quindi, necessariamente ma non esplicitamente visto che non li vediamo mai, gli occhi) o un gesto che sottolinea quanto detto. L’occorrenza di semplicità è evidente anche a livello di costruzione della tavola, semplice, priva di artifici di costruzione (se non nella parte introduttiva, antecedente all’intervista), con una suddivisione classica in sei vignette (talvolta accorpate) e l’uso di splash page per enfatizzare alcuni momenti della storia sociale italiana.

La percezione della voce di Calia durante l’intervista è quasi assente, annegata dalle risposte fiume del filosofo padovano, per poi (ri)emergere in momenti abbastanza topici, quasi a voler sottolineare momenti nevralgici della storia di Negri e del paese, dal ’68 alla storia del movimento operaio, la rinascita nel ’77 e l’arresto di Antonio Negri.

Un fumetto che parla di storia e di libertà, di lotta e di ingiustizia all’interno di un paese che, oggi come oggi, da quello che emerge, non sembra per niente diverso da quello che era durante gli anni di piombo (e i fatti di cronaca più recenti in materia di pestaggi, reazione all’immigrazione e disagio della moltitudine in ambito lavorativo, non fanno che confermare questa versione).
Un fumetto che racconta l’intrecciarsi di due storie, la macrostoria del sistema Italia e la microstoria del singolo individuo Antonio Negri, di cui emergono numerose sfaccettature.
Un’immagine molto forte, a tal proposito, è la splash page di pagina 98, in cui quella in cui Negri, al processo del Maggio 1983, appare a mezzo busto diviso da una sbarra, simbolismo molto forte di una vita divisa e della scelta di passare dalla vita extraparlamentare a quella parlamentare per poter ottenere l’immunità e continuare a lottare al di fuori del sistema carcerario.
Per me dissociazione non significa ritirarmi da qualcosa, ma insistere, ritrovare l’identità della mia azione e del mio pensiero. per me dissociazione è stato soprattutto dissociarmi da quello che voi, giudici, volevate che fossi” (p.99)

Avviandosi verso la fine, verso gli anni più recenti, il volume si concentra principalmente sulle teorie biopolitiche e sociopolitiche espresse da Negri circa la moltitudine (ed è curioso che si affronti questo concetto tra i confini della città-mondo di Venezia). Paradossalmente, laddove il contenuto si fa più forte il medium fumetto cede. Penso, ad esempio, alla chiusura del capitolo quattro, laddove viene spiegato il nodo concettuale del libro di Negri intitolato Impero. È Primavera è un lavoro ibrido, dunque, che unisce parti a fumetti a parti di testo accompagnato da immagini; in questo secondo momento, in cui (come solo in alcuni momenti dell’introduzione) il font utilizzato per il testo assume uno stile più tipografico, sembra estremizzarsi il rapporto testo-immagine descritto in precedenza: il disegno si fa da parte, si rende volutamente più statico e ripetitivo, in modo da puntare il riflettore al cento per cento sul testo.
Saggio di come il fumetto possa servire a veicolare con agilità un testo della densità contenutistica come questa intervista; certo è, tuttavia, che numerosi sono i punti in cui l’immagine non viene in aiuto del testo, limitandosi a contenerlo e ad accompagnarlo ma non realmente ad interpretarlo o completarlo (come può accadere, ad esempio, nel lavori di Guy Delisle, giusto per citarne uno).

L’ultima delle particolarità di questo lavoro di Calia sta nel concetto di libertà, con cui si apre e si chiude il volume; libertà che È Primavera, Intervista a Antonio Negri trova, a un anno dalla sua pubblicazione, anche editorialmente. Grazie ad una collaborazione tra BeccoGiallo e Global Project, infatti, il volume di Claudio Calia è stato posto sotto tutela di Creative Commons e rilasciato gratuitamente in formato .pdf alla pagina http://www.globalproject.info/it/produzioni/E-primavera-Intervista-a-Antonio-Negri/3078 .
Una simile operazione rivela un’interessante concezione editoriale e autoriale del testo, controtendenza rispetto a quella di un’Italia che, semmai, parte dal web per poi approdare alla carta stampata. L’esigenza che ha spinto in questa direzione deve necessariamente essere quella di raggiungere il maggior numero di lettori, di diffondere il più possibile il messaggio contenuto in queste pagine: un invito a reagire, senza passare il confine della legalità ma pur sempre lottando senza continuamente calare le braghe davanti ai potenti.

giovedì 3 dicembre 2009

INTERVISTA A EDDIE CAMPBELL

Rimbalzo anche qui l'intervista ad Eddie Campbell realizzata per ComicUS, in Italia in occasione di Lucca Comics, a Parma in occasione di, probabilmente, un piatto di crudo. Domande mie, con l'aiuto di Valerio Coppola, che ha elucubrato la domanda sulle fonti di From Hell e le due sulla trasposizione degli spettacoli di Alan Moore.
Buona lettura!
[Al seguente indirizzo http://www.comicus.it/view.php?section=interviste&id=283 potete trovare anche l'originale in inglese].

Eddie Campbell è stato uno degli autori di punta chiamati a presenziare a questa ultima edizione di Lucca Comics, in contemporanea alla pubblicazione, in Italia, dell’ultimo volume della sua serie cult, Bacchus. Considerato uno tra i primi, assieme ad Harvey Pekar, a portare il quotidiano e l’autobiografico nei fumetti, nelle pagine di Alec (di cui Top Shelf Productions ha appena pubblicato un volume che ne raccoglie integralmente gli episodi) è certamente noto ai più per essere stato scelto da Alan Moore per realizzare una delle sue più immani fatiche, From Hell, e per la trasposizione di alcune delle sue performance teatrali (The Birth Caul e Snakes & Ladders, raccolti nel volume Un Disturbo del Linguaggio). Campbell è anche autore unico di varie opere tra cui ricordiamo The Black Diamond Detective Agency, adattamento della sceneggiatura cinematografica di C. Gaby Mitchell, e ovviamente il già citato Bacchus, oltre che di rare ma fulminanti incursioni nel fumetto mainstream, come su Uncanny X-Men, Hellblazer e Batman.

Alec è la serie che ti accompagna fin dai tuoi esordi, oltre ad essere una delle prime serie a focalizzarsi principalmente sul quotidiano e sull'autobiografico. Da cosa nasce questa scelta, da quali necessità?
L’ho iniziato circa trent’anni fa e pensavo che i fumetti fossero troppo pieni di grandi eventi impossibili e che il linguaggio delle strip avrebbe potuto essere utilizzato per dirci quello che avevamo bisogno di sapere della vita quotidiana, dei semplici piaceri e fallimenti e tristezze di tutti i giorni. Era tutto lì ma nessuno lo faceva. L’intero vocabolario dei fumetti veniva utilizzato per raccontare questa storia cosmica che mi appariva priva di significato e scollegata dalla vita che stavamo vivendo… e che stiamo tutt’ora vivendo.

In Bacch
us gli dei dividono la Terra con gli esseri umani. Il realismo grafico e l'attenzione all'aspetto sociopolitico dell'ambientazione si fondono così a contenuti più propriamente fantastici. Che importanza hanno per i tuoi lavori l'aspetto sociale e quello metafisico? Come li dosi?
Dopo qualche anno passato a realizzare fumetti sulla semplice realtà quotidiana mi resi conto che se avessi voluto guadagnare il necessario per vivere avrei dovuto concepire qualcosa di più grande, cosmico, mitologico. Ma, allo stesso tempo, volevo che fosse radicato nella realtà, così resi il dio Bacco un ubriacone mangiato dalle tarme oppure… e tutti gli altri dei erano morti. Questa è la sua semplice premessa. Così inizia come una grande idea, ma in un giorno o due, cercando di lavorarci, ho buttato già qualcosa di semplice e onesto. E neppure questo si vendeva.

Parlaci del protagonista…
Ha quattromila anni e ne dimostra ogni minuto! La cosa saggia da fare, con i fumetti è che dovrebbero essere semplici ed emblematici. Pensai: “Voglio fare qualcosa che sembri davvero ovvio”. Pensai: “E se avessimo una faccia a fumetti con un milione di linee e linee e increspature? Ma che allo stesso tempo fosse ricordabile e riconoscibile ogni volta che la vediamo”. Quella fu la sfida che mi lanciai: come posso rendere la più complicata faccia umana che, allo stesso tempo, sia riproducibile da immagine a immagine e riconoscibile, e che ti faccia pensare, appena la vedi, “Oddio, quel tipo sembra vecchio”. Pensai anche che se avessi disegnato un personaggio che sembrava vecchio… pensai a quella cosa che aveva funzionato per Dorian Grey, hai presente “Il ritratto di Dorian Gray” in cui il ritratto diventa sempre più vecchio e lui ringiovanisce? Ho pensato: “Lo provo. Provo a vedere se funziona anche con me. Ho un protagonista di quattromila anni e continuo a farlo sembrare sempre più vecchio, magari mi farà sembrare più giovane”. Quello è il principio su cui stavo lavorando.

Il protagonista di Bacchus è, ovviamente, il dio romano della baldoria, il primo arco narrativo di Alec è incentrato sulla vita da pub di un giovane. Sembra che l'alcol e, soprattutto, la vita che vi ruota attorno abbiano un ruolo importante; ce ne vuoi parlare?
Oh, mi sono ritratto come un ubriacone, ero troppo in ritardo per fare qualsiasi cosa, immagino. Credo che tutti noi dobbiamo smettere di bere, almeno fino all’ora del tè… almeno fino a sera… almeno per un anno intero.

E From Hell?
È lì che ho iniziato a fare soldi. Fino ad allora avevo perso soldi.

So che tutti ti chiedono come sia lavorare con Alan Moore…
Le due domande, le mie due domande più frequenti sono “Da dove prendi le tue idee?” e “Quanto è matto Alan Moore?”. È un tipo magnifico. È un genio. Se in tutta la mia vita ho mai incontrato qualcuno che ho pensato essere un genio è lui, sarebbe lui quello. Perché la sua testa è piena di informazioni e idee. Non importa se le perde perché Hollywood le ruba e ne fa un pasticcio, avrà un'altra idea il giorno successivo, e ha sempre un'altra idea; non ho mai incontrato qualcuno che ha sempre un'altra idea il giorno successivo. E non so da dove le prende. Questa era l'altra domanda. Beh, vorrei sapere da dove le prende, perché il resto di noi le prende da un piccolo negozio a Londra, dove andiamo per le nostre idee, ma non so da dove lui prenda le sue.

Ma questa domanda voleva essere differente da “Com'è lavorare con Alan Moore?”, e non avendo qui Alan Moore per chiedergli "Com'è lavorare con Eddie Campbell?"…
Pensa che Eddie Campbell sia un genio. È reciproco, il sentimento è reciproco. Mia moglie mi dice sempre: “Quando fai queste interviste perché promuovi sempre Alan Moore? Perché non promuovi te stesso?”. E io le rispondo: “Beh, per quello che ne sai lui mi sta promuovendo, in questo momento, in questo preciso istante sta parlando di me a qualche intervistatore, per quello che ne sai”. È un grattarsi la schiena a vicenda.

E quindi quanto lavorare con Alan Moore ha influenzato e/o limitato il tuo processo creativo in From Hell?
Non credo che mi influenzi. Amo lavorare con Alan Moore perché quello che fa è molto diverso da quello che faccio io e mi porta in un mondo differente. Penso che il libro chiamato The Birth Caul sia stato quello in cui c'è stato un reale incontro di menti, eravamo completamente in sintonia. Perché con From Hell… il punto, con From Hell, è che non mi piace l'horror, non mi piace il crimine e non mi piace la violenza. Non so perché mi abbia scelto per farlo perché non mi piace niente di tutto ciò. Penso che la ragione per cui abbia scelto me per farlo è perché sapeva che non mi sarei divertito, sapeva che non avrei ecceduto in attenzione sulla violenza, sul sangue, sulla morte e così via.

Quindi magari ha scelto te perché sapeva che avresti ritratto l'orrore in un modo che…
In un modo che non sembra orrore; non sarebbe apparso come si intende che l'orrore appaia, sarebbe sembrato come… le cose orribili che accadono nella vita di tutti i giorni piuttosto che come le cose orribili che accadono nel luogo in cui si sviluppa il genere horror. Come normalmente appaiono i film di Jack lo Squartatore anche prima che qualcosa di orribile accada; sembra che l'intero set sia progettato perché vi accada qualcosa di orribile. L'East End di Londra nei film di Jack lo Squartatore solitamente sembra un luogo che è stato progettato per ricevere sangue. Così quando questo accade non ha bisogno di essere una sorpresa, perché sei seduto lì in attesa che accada, mentre non ti aspetti di vederlo… ci sono posti in cui non… il sangue sulla faccia di un bambino è una cosa orribile e disturbante perché non lo si vuole vedere, mentre il sangue sul set di Jack lo Squartatore, di un film, non sembra orribile perché quello è il posto a cui appartiene, è stato pensato che il sangue si trovasse lì, è stato pensato per sembrare insanguinato.

From Hell è un vero e proprio ricettacolo di informazioni storiche, culturali, architettoniche, ecc. Quante ricerche specifiche avete dovuto compiere tu e Moore per la realizzazione dell'opera? E quanto questo ti ha limitato o aiutato nella realizzazione grafica?
C'è stato un capitolo per il quale, una volta finito, ho ripulito il pavimento e ho contato sessantaquattro fotografie. Era il capitolo in cui lui [Sir William Gull] si muove attraverso Londra. Ho usato sessantaquattro frammenti di informazioni fotografiche che ho incorporato in esso, il che è un bel po', è più di quanto io utilizzerei normalmente in un libro. Quindi… un grande affare. Se trovavamo documenti e prove che non si incastravano con la nostra storia allora dovevamo cambiare la storia. Decidemmo all'inizio di voler essere totalmente autentici per quanto riguarda la geografia di Londra, e avremmo dovuto cambiare qualsiasi cosa che non avesse funzionato. Ad un certo punto della storia Alan fa attraversare a William Gull un ponte che non era ancora stato costruito, così mi sono chiesto se avessi dovuto cambiarlo, e l’ho fatto proseguire per attraversare ad un ponte differente, ho allungato il dialogo per una pagina. Questo accadde nel capitolo 4. La ricerca fu molto importante.

Parlando di Black Diamond Detective Agency, cosa ti ha spinto ad adattare la sceneggiatura di C. Gaby Mitchell per un lavoro a fumetti?
Non mi sono proposto, me l’hanno chiesto. Era la sceneggiatura per un film per cui qualcuno ebbe l’idea “Perché non l’adattiamo a un graphic novel? I graphic novel sono attuali e se lo realizziamo prima ci sarà d'aiuto per realizzare il film”. Penso che questo fosse il loro pensiero e non sono sicuro del perché pensassero che io fossi l’uomo adatto per realizzarlo, ma in un modo o nell’altro sono stati messi in contatto con me. È interessante che il libro sia stato adattato così rapidamente in italiano. Ne parlavo oggi con qualcuno, il western sembra essere molto popolare in Italia, il western americano è sempre stato molto popolare. Avete Tex, il fumetto, loro hanno Clint Eastwood e tutti gli spaghetti-movie. Così sembra giusto, immagino, che di tutti i miei libri quello poteva essere tradotto in italiano più rapidamente che qualsiasi altro libro che ho fatto. Non sapevo nemmeno che avessimo venduto i diritti finché non mi hanno spedito il libro. Eccezionale. È un’edizione adorabile, grandiosa. Ci sono i miei colori dipinti. Ci sono un sacco di gangster e tizi a cavallo e un vecchio treno a vapore che esplode. È ambientato nel 1988, nel Missouri.

Ed è strano perché usi i colori.
Sì. In realtà preferisco usare i colori ma nel passato i miei dipinti si limitavano alle copertine, le copertine sono sempre a colori, mentre l’interno in bianco e nero. Ho sempre pensato fosse adorabile realizzare un libro interamente a colori. Finalmente ne ho avuto l’opportunità. Ho realizzato tre libri con quattro scenari dai colori solari e mi sono davvero divertito. È stato un gran divertimento. Amo dipingere a colori. Lo faccio interamente a mano, penso di essere l’ultima persona che dipinge i libri piuttosto che colorare al computer. Sto cercando di contattare qualcuno che mi insegni come farlo, come colorare al computer. Sto cercando un bambino di sette anni in grado di insegnarmi come fare.

Quanto c'è di tuo rispetto allo screenplay originale?
Quando parlai con loro dissi: “Un graphic novel è una cosa completamente diversa da un film. Potrei volerlo fare se mi lasciate cambiare qualche cosa” e loro furono d’accordo, così l’ho riscritto e quando lo ricevettero vollero che un paio di cose fossero rimesse a posto. Tutto ok, era previsto. L’economia ha un grande peso in questo settore. È una negoziazione, una negoziazione costante tra cercare di fare le cose a modo tuo e cercare di rendere felici i tuoi clienti.

In base a che cosa scegli uno stile per uno dei tuoi lavori? (ad esempio, From Hell è a penna e il tratto è stilizzato e tratteggiato, immediato, così come in Bacchus, mentre negli adattamenti teatrali di Alan Moore il tratto si fa più morbido e lo stile si fa poliedrico, prestandosi a inserti, e in opere come Black Diamond Detective Agency addirittura vediamo il colore).
Ognuno ha uno stile differente. Hai notato? From Hell non è il mio stile, è lo stile di cui pensavo che il libro avesse bisogno, o Black Diamond, o qualsiasi altro libro sia. Penso che ogni libro richieda il proprio stile e lo stile per quel libro. Non penso ci si possa avvicinare al western e farlo con lo stesso stile dei libri moderni, penso si debba creare lo stile per il libro. Ogni libro richiede il suo stile. Non si può disegnare un western nello stile di Jim Lee… che comunque non vuol dire che non possa realizzarne uno buono. Bisogna cambiare stile.

Le due facce di Eddie Campbell sono il disegnatore al fianco di grandi nomi, come Alan Moore, che quasi lo eclissano e l'autore completo osannato da critici e colleghi. Come vivi questo dualismo?
Illustrare il lavoro di uno scrittore è interessante da fare una volta ma posso realizzarne altrettanti con le mie idee; potrei scrivere i miei script in metà del tempo di quanto ci si impieghi a leggere quelli di Alan Moore. Per From Hell ne è valsa la pena, o per Black Diamond Detective Agency, che è un adattamento da una sceneggiatura cinematografica, ma la vera arte dei fumetti è concepire situazioni complete in parole e immagini. L’intero concetto esiste in parole e immagini piuttosto che uno che segue l’altro. Questo è quello che mi interessa maggiormente, i concetti completi. Io vedo in parole e immagini all’interno della mia testa, non penso a una sceneggiatura e poi penso a come la illustrerò, vedo cose complete nella mia testa.

I tuoi lavori maggiori (parlo di From Hell, Alec, Bacchus) presentano uno stile che ricorda quello di importanti illustratori angloamericani il cui lavoro si colloca tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Alla luce di questo cosa pensi delle nuove tecnologie applicate al fumetto?
Si, ho disegnato From Hell in uno stile che viene chiamato lo stile della “liberated penmanship” di Charles Dana Gibson o E.B. Frost, quegli illustratori che lavorarono nel 1890 quando l’illustrazione iniziò ad essere fotografata. In precedenza doveva essere copiata a mano da un incisore del legno, e l’artista doveva disegnare con una matita su un blocco di legno che quindi un incisore professionista avrebbe trasformato in arte riproducibile. La macchina fotografica ha cambiato tutto questo, con la macchina fotografica è possibile fotografare alcuni di questi tratti a penna, così le persone iniziarono a disegnare esuberanti tratti a penna perché potevano, sapevano di essere invitati a farlo, di avere la libertà di disegnare esattamente in ogni modo che volevano perché sarebbe stato fotografato; non erano limitati da quello che poteva essere inciso nel legno. E analogamente oggi abbiamo i computer che ci liberano dalla necessità di disegnare in bianco e nero, ed è realmente più a buon mercato che farlo in un bianco e nero antiquato. I colori sono più semplici da fare, è possibile realizzare stupendi libri a colori che non sono più costosi rispetto a quelli economici di cinquant’anni fa. Quindi penso che mi piacerebbe provare… sto parlando con alcune persone del modo per realizzare colori al computer che non sembrino puliti, puri e meccanici. Sto cercando un modo per realizzare colori al computer e che sembrino un po’ più sciupati.

Cosa pensi del legame sempre più stretto tra fumetto e cinema e di quello che ne deriva?
Non credo sia una buona cosa. Penso che i film siano privi di idee. Non hanno idee a Hollywood e pensano di poterle trovare nei fumetti. Penso che nemmeno i fumetti stiano avendo molte idee. È privo di speranza, siamo rovinati, nessuno ha alcuna idea. Dovremmo attingerle da Alan Moore se non fosse che non parla con nessuno, non parla con Hollywood, continua ad essere in disaccordo con le persone; con me parla ancora ma devo stare attento a quello che dico perché se dico qualcosa di sbagliato potrebbe adirarsi anche con me e a quel punto saremmo fregati.

Di cosa credi che abbia bisogno il fumetto contemporaneo?
Ha bisogno di più me. Salvador Dalì disse: “Il problema con i giovani d’oggi è che non sono uno di loro”. Hanno bisogno di più me. Penso di poter sistemare le cose se mi fanno fare più libri.In realtà venendo qui ho guardato tutti i volumi sugli scaffali e mi sono sentito intimidito, ho realizzato che ci sono in giro molte più cose buone di quanto pensassi.

Di quale dei tuoi lavori ti senti più orgoglioso?
Il grande volume di Alec, che è appena uscito questa settimana.

In una vecchia intervista rilasciata a Tabula Rasa ho letto che preferisci disegnare che scrivere…
Non le penso come due cose separate. Non suona come qualcosa che avrei potuto dire. È come se avessi detto l’opposto, è come se avessi detto che preferisco scrivere. Penso che i fumetti siano qualcosa con testo e immagini. Non tengo mai sketchbook o scarabocchi, uso le immagini solo mentre sto scrivendo una storia, so le immagini per realizzare una storia.

Quali differenze e quali differenze di priorità pensi che ci siano tra disegnare fumetti e scrivere e disegnare fumetti?
Non importa come sia fatto, la cosa deve essere un tutt’uno coeso, una volta finito, ci deve essere un sentore che almeno le cose abbiano la stessa appartenenza prima ancora che vengano messe sulla pagina, che le figure nell’immagine siano fuse in modo tale da impedire di vedere come esse possano esistere come entità separate. Non c’è scrittura in From Hell che sia separata dalle immagini. In tutte le pagine di sceneggiatura in From Hell, Alan descriveva come l'immagine sarebbe dovuta risultare, grandi descrizioni pittoriche che il lettore non leggerà mai perché erano per me, per aiutarmi a realizzare l’immagine. In questo modo la sceneggiatura di From Hell non esiste separatamente dalle immagini, la sceneggiatura di From Hell consiste nella descrizione di immagini che esistono, mentre la sceneggiatura non esiste più.

Quanto ti senti libero di osare e sperimentare in un lavoro non tuo?
Non ho alcun interesse nello sperimentare in un lavoro che non sia mio, sono semplicemente interessato a quale sia il miglior modo perché funzioni. Ogni esperimento deve essere finalizzato a far funzionare l’idea al massimo vantaggio possibile. Ogni esperimento artistico è uno spreco di tempo, non aiuta il progetto se non è funzionale a fornire all’idea una presenza visuale sulla pagina che sia la migliore possibile.

Cosa pensi un istante prima di posare la penna sul foglio?
Quello che penso generalmente è: “Come posso venirne fuori? A cosa stavo pensando quando ho firmato per questo? Mi porterà via un anno. Oh buon Dio, cosa ho fatto?”. Questo è quello che penso mentre guardo la prima pagina ancora bianca: “Sono all’esatto inizio del progetto, chi dovrò torchiare per venirne fuori?”.Bisogna costringersi a farlo. Quando lessi che gli artisti si divertivano - “Oh, ci divertiremo con questo, quando smetterà di essere divertente non ne vorrò più sapere” - non capisco di che cosa parlino perché non ricordo che sia divertente. Per me disegnare è una terrificante lotta con l’impossibilità e non mi diverto realmente nel farlo. Se, alla fine,c’è qualcosa di cui essere orgogliosi penso che sia valsa la pena di farlo, ma nel momento in cui lo sto facendo normalmente sto singhiozzando e piango lacrime di esasperazione, perché non potrò mai farlo buono come è nella mia testa… beh, a volte.

In che modo, se accade, la tua vita e gli eventi del mondo esterno influenzano il tuo stile grafico e il tuo lavoro come narratore?
Dovremmo sempre essere influenzati da quello che vediamo nel mondo. Qualcosa che non ha riferimento al mondo visibile, tangibile, è falsa e credo che molti fumetti siano così; guardo i fumetti e non riesco a vedere nulla in essi. Non so che cosa sta accadendo per la maggior parte del tempo, i miei occhi scivolano via dalla pagina.

Solitamente, anche se non sei tu a sceneggiare un fumetto, immaginiamo che il tuo contributo di disegnatore vada a incidere fortemente sulla storia, nel definire la quale sarà presente anche una tua responsabilità, in certa misura. Nel caso delle trasposizioni degli spettacoli teatrali di Moore, invece, con ogni evidenza non hai alcuna voce in capitolo nel delineare la storia: come si riflette questo sul tuo modo di lavorare?
Alan Moore aveva concluso con quei lavori particolari che aveva scritto, e io gli dissi: “Vorrei adattarli nel linguaggio dei fumetti”, mentre lui nemmeno pensava fosse possibile; disse che difficilmente potevano essere illustrati, e io risposi: “Lasciami provare con un paio di pagine, solo per mostrarti a che cosa sto pensando”. Fu sorpreso di quanto il risultato fosse buono, così proseguii e realizzai l’intero lavoro, ma fu grande non avere le sue lunghe descrizioni di immagini. Potevo usare le mie, le immagini che avevo nella mia tesa. Ero molto eccitato del modo in cui funzionavano… Penso che A Disease of Language sia un libro migliore rispetto a From Hell, penso sia molto più entusiasmante creativamente. From Hell era… penso che io e Alan fossimo entrambi totalmente dedicati a farlo proseguire incessantemente sulle pagine, molte delle quali non contengono una parola, perché sembra che tutto accada, sembra che tutto si sveli in tempo reale, ed è un lavoro molto duro, non ci fu molto spazio per divertirsi o per gioire nel crearlo; alla fine avevamo creato qualcosa che era piuttosto terribile, orribile. Non volevamo che fosse un divertimento, che fosse uno scherzo, volevamo che fosse qualcosa di disturbante e spaventoso. Quindi non fu sempre una gioia realizzarlo. Ma con A Disease of Language fu abbastanza diverso perché creando le sue immagini io credevo che fosse vero divertimento. Alan si riferiva a cose della sua giovinezza, e poiché ha la mia stessa età, è della stessa generazione, queste risuonavano con immagini dalla mia giovinezza che ero in grado di richiamare dalla mia memoria e affiancare al suo lavoro, e penso che sia una vera espressione di lavorare in gruppo nella seconda metà del Ventesimo secolo.

Quali espedienti adotti per rendere in immagini un discorso parlato, per di più in flusso di coscienza? E come tenti di recuperare nelle tue tavole l'espressione multimediale che Moore porta nelle sue performance?
Ogni pagina era una sfida differente. Una delle mie pagine preferite era quella in cui nel monologo del narratore qualcuno ha un infarto. Quello che feci fu… Avevo comprato questo piccolo vecchio orologio e lo portai a casa, presi un martello e dissi ai bambini: “Ora romperò l’orologio” e loro mi seguirono giù dalle scale, sotto casa, per rompere l’orologio sul cemento. “Papà posso dare il primo colpo” e mettemmo l’orologio a terra e lo rompemmo, quindi incollai le parti sulla pagina. Quella fu la mia interpretazione di avere una trombosi coronaria dovuta al lavoro che si svolge dalle nove alle cinque; lavoro lavoro lavoro lavoro e nessun divertimento, alla fine l’orologio si rompe. Quindi, ogni situazione richiedeva un modo di espressione differente. C’è un’altra pagina a cui sono affezionato, dove c’è un piccolo bambino che indossa [un pigiama]. Io stesso ho realizzato quel piccolo pigiama, ne avevo uno vero e l’ho tagliato e ho fatto questo pigiama in miniatura. Ho stirato i piccoli baveri che ci sono e ho schiacciato la cintola con un po' di peso e ho cercato di rendere le pieghe in modo da farlo sembrare un vero pigiama. Fu molto divertente fare in modo che tutte queste immagini funzionassero, ogni pagina era un’avventura eccitante. Ogni immagine doveva fermare lo sguardo, non c'era una normale continuità narrativa tra pagina e pagina, ogni immagine doveva fermare lo sguardo e creare l’ambientazione per un paio di righe del monologo di Alan. Fu davvero molto divertente. Sapevo che, se avessimo parlato per abbastanza tempo, prima o poi mi sarei contraddetto e mi sono appena contraddetto perché un minuto fa ho detto che non era divertente. La vita è piena di contraddizioni, specialmente la mia.

Che progetti hai per il futuro?
Ho un nuovo libro chiamato The Playwright, in uscita l’anno prossimo, che parla della vita sessuale di un celibe uomo di mezza età. È principalmente sulla sua immaginazione, contiene un sacco di masturbazione, o wanking, come diciamo in Inghilterra. Non è autobiografico.

Qui in Italia è appena uscito l’ultimo volume di Bacchus
Ed è un piacere vederlo.

Perché hai scelto di concluderlo?
Per concluderlo ho esaurito i posti in cui andare. In realtà non finisce realmente, si esaurisce con fatica verso una speranza piuttosto che giungere a una conclusione e penso che tutte queste cose siano la vita. La vita non si conclude con tutti i finali ordinatamente legati assieme in una perfetta e bellissima nota. La vita si esaurisce con un mormorio, un gorgoglio, una caduta e un tonfo secco. Si esaurisce, lentamente si dissolve nel nulla.


Bibliografia:
Bacchus vol. 1-8 (1995-2009, edizione italiana Alta Fedeltà/Edizioni BD, bianco e nero, 9-16 euro). Sceneggiatura e disegni di Eddie Campbell;
From Hell (2005, edizione italiana Magic Press, 576 pagine in bianco e nero, 35 €). Sceneggiatura di Alan Moore, disegni di Eddie Campbell;
Black Diamond Agenzia Investigativa (2009, edizione italiana Magic Press, 144 pagine a colori, 12,50 €). Sceneggiatura e disegni di Eddie Campbell;
Un Disturbo del linguaggio (2009, edizione italiana Edizioni BD, 160 pagine bianco nero e toni di grigio, 15 €). Sceneggiatura di Alan Moore, disegni di Eddie Campbell;

Alec. The years have pants (2009, Top Shelf, 640 pagine in bianco e nero, 35.00 $). Sceneggiatura e disegni di Eddie Campbell.