Con l’inizio di Civil War, per la prima volta, la Marvel instillò il dubbio nei lettori che il buon capitano potesse avere torto. Certo, personaggi machiavellici e ben più egoisti come Tony Stark o Reed Richards sembravano essere palesemente nel torto in un numero maggiore di situazioni. Ma fu quel “tu da che parte stai?” che per la prima volta ne mise in discussione l’operato. Allora l’America era già spaccata in due dall’amministrazione Bush e dalle sue scelte errate, dalla guerra, dalle problematiche sociali, e in tutto questo gli eroi se ne stavano a pestarsi per i fatti loro radendo al suolo New York. Non certo un capitolo di cui andare orgogliosi. La posposizione del bene della popolazione alle scaramucce tra eroi era già un chiaro segnale del venir meno del sogno in ogni suo aspetto, un sogno che fu poi definitivamente spezzato dal complotto (Brubaker) per uccidere Capitan America.
Una morte che, teatralmente, non può non ricordare la morte di un altro personaggio amato dagli americani, John Fitzgerald Kennedy: se Kennedy era scortato in automobile accerchiato da una folla esultante, Steve Rogers veniva condotto in tribunale ammanettato, umanizzato dalla sua posizione di inferiorità, smitizzato, circondato da una folla che si divideva tra sostegno e disprezzo; in entrambi i casi ci fu il fuoco di un cecchino, in entrambi i casi come diversivo per coprire il vero attentatore.
La morte di Capitan America incarna la morte di un Paese che negli ultimi anni ha fatto parlare di sé più in modo negativo che altro, non ultimo, ad esempio, lo scandalo di Guantanamo (del quale durante la Guerra Civile viene costruito un emulo per superesseri, la prigione 42 nella zona negativa) o di Abu Ghraib, o ancora la distruzione di New Orleans ad opera dell’uragano Katrina e la situazione di caos e delirio dei giorni che ne seguirono.
È da qualche mese che, sulle testate italiane, assistiamo al passaggio di poteri e all’investitura di Bucky Barnes nel ruolo di nuovo Capitan America. Nello stesso numero di Thor e i Nuovi Vendicatori contenente la storia A Visit è possibile leggere il capitolo conclusivo della lunga storia di Brubaker The Death of Captain America, in cui la spalla di sempre del capitano viene accettato nel suo nuovo ruolo di sentinella della libertà da parte della comunità e dell’opinione pubblica statunitensi. I “figli” raccolgono l’eredità dei “padri”. È storia americana.
Peccato che, allo stesso tempo, pochi giorni fa, sia stata data la notizia di una nuova saga della bandiera vivente voluta dallo stesso Brian Michael Bendis, attuale regista dell’universo Marvel, intitolata Captain America Reborn, in cui si assiste alla resurrezione di Steve Rogers e, presumibilmente, al suo ritorno ai panni di Capitan America.
Nel mezzo ci sono Secret Invasion e Dark Reign, due archi narrativi che, assieme a Civil War, non solo hanno minato la fiducia nel prossimo all’interno dell’universo Marvel, per poi ribaltare l’ottica e far apparire buono il cattivo e viceversa, distruggendone i punti di riferimento, ma hanno anche puntato il riflettore sulla completa perdita d’identità del Paese. Vedere gli eroi che si combattono tra loro, vedere gli eroi che non sanno più che pesci prendere, vedere skrull che si credono eroi e cattivi che si comportano come eroi ed eroi che sono costretti alla macchia, non fa altro che minare di continuo le convinzioni dei lettori, scombinando e riassettando per poi scombinare di nuovo.
E questo è in linea con l’assenza della figura di riferimento per eccellenza.
Se quindi decidiamo di vedere tutta la confusione degli ultimi anni come un riflesso della situazione sociopolitica statunitense, è impossibile non leggere questa rinascita come la rinascita di un ideale che porta in sé i semi di una rinnovata fiducia verso il paese.
Considerate le normali tempistiche editoriali e la rigidità di un progetto narrativo che deve vedere il suo corso non è impensabile che l’idea sia venuta a Bendis con la conclusione della nuova tornata elettorale e con l’elezione del nuovo Presidente.
Barack Obama, nero, giovane, aperto al cambiamento, è senza ombra di dubbio una figura stimolante per la politica interna ed estera del Paese, senza contare la sua volontà di dare un taglio agli errori del passato e alle loro ripercussioni sul presente (che poi lo stia facendo in modo un po’ troppo parco è un’altra questione). Ed è di sicuro una figura in cui è stata riposta una grande fiducia da parte di tutta la comunità, fiducia amplificata dal fatto di essere il primo presidente nero, cosa che, bisogna dirlo, abbastanza ingenuamente, porta l’opinione pubblica americana e internazionale a vedere in lui il volto di una nuova America.
In appoggio a questa ritrovata fiducia e identità ecco che ritorna la sentinella della libertà. Un ritorno più o meno gradito, più o meno ben giustificato (per ora propendo per il meno, il fatto che lo spirito di Steve Rogers persista congelato nel tempo non solo mi sembra troppo stupido ma carica di un valore troppo mistico la figura di un eroe i cui poteri, per quanto super, sono sempre stati molto terreni), ma che di sicuro sembra essere in linea con il nuovo senso di rinnovamento dell'America.
Una morte che, teatralmente, non può non ricordare la morte di un altro personaggio amato dagli americani, John Fitzgerald Kennedy: se Kennedy era scortato in automobile accerchiato da una folla esultante, Steve Rogers veniva condotto in tribunale ammanettato, umanizzato dalla sua posizione di inferiorità, smitizzato, circondato da una folla che si divideva tra sostegno e disprezzo; in entrambi i casi ci fu il fuoco di un cecchino, in entrambi i casi come diversivo per coprire il vero attentatore.
La morte di Capitan America incarna la morte di un Paese che negli ultimi anni ha fatto parlare di sé più in modo negativo che altro, non ultimo, ad esempio, lo scandalo di Guantanamo (del quale durante la Guerra Civile viene costruito un emulo per superesseri, la prigione 42 nella zona negativa) o di Abu Ghraib, o ancora la distruzione di New Orleans ad opera dell’uragano Katrina e la situazione di caos e delirio dei giorni che ne seguirono.
È da qualche mese che, sulle testate italiane, assistiamo al passaggio di poteri e all’investitura di Bucky Barnes nel ruolo di nuovo Capitan America. Nello stesso numero di Thor e i Nuovi Vendicatori contenente la storia A Visit è possibile leggere il capitolo conclusivo della lunga storia di Brubaker The Death of Captain America, in cui la spalla di sempre del capitano viene accettato nel suo nuovo ruolo di sentinella della libertà da parte della comunità e dell’opinione pubblica statunitensi. I “figli” raccolgono l’eredità dei “padri”. È storia americana.
Peccato che, allo stesso tempo, pochi giorni fa, sia stata data la notizia di una nuova saga della bandiera vivente voluta dallo stesso Brian Michael Bendis, attuale regista dell’universo Marvel, intitolata Captain America Reborn, in cui si assiste alla resurrezione di Steve Rogers e, presumibilmente, al suo ritorno ai panni di Capitan America.
Nel mezzo ci sono Secret Invasion e Dark Reign, due archi narrativi che, assieme a Civil War, non solo hanno minato la fiducia nel prossimo all’interno dell’universo Marvel, per poi ribaltare l’ottica e far apparire buono il cattivo e viceversa, distruggendone i punti di riferimento, ma hanno anche puntato il riflettore sulla completa perdita d’identità del Paese. Vedere gli eroi che si combattono tra loro, vedere gli eroi che non sanno più che pesci prendere, vedere skrull che si credono eroi e cattivi che si comportano come eroi ed eroi che sono costretti alla macchia, non fa altro che minare di continuo le convinzioni dei lettori, scombinando e riassettando per poi scombinare di nuovo.
E questo è in linea con l’assenza della figura di riferimento per eccellenza.
Se quindi decidiamo di vedere tutta la confusione degli ultimi anni come un riflesso della situazione sociopolitica statunitense, è impossibile non leggere questa rinascita come la rinascita di un ideale che porta in sé i semi di una rinnovata fiducia verso il paese.
Considerate le normali tempistiche editoriali e la rigidità di un progetto narrativo che deve vedere il suo corso non è impensabile che l’idea sia venuta a Bendis con la conclusione della nuova tornata elettorale e con l’elezione del nuovo Presidente.
Barack Obama, nero, giovane, aperto al cambiamento, è senza ombra di dubbio una figura stimolante per la politica interna ed estera del Paese, senza contare la sua volontà di dare un taglio agli errori del passato e alle loro ripercussioni sul presente (che poi lo stia facendo in modo un po’ troppo parco è un’altra questione). Ed è di sicuro una figura in cui è stata riposta una grande fiducia da parte di tutta la comunità, fiducia amplificata dal fatto di essere il primo presidente nero, cosa che, bisogna dirlo, abbastanza ingenuamente, porta l’opinione pubblica americana e internazionale a vedere in lui il volto di una nuova America.
In appoggio a questa ritrovata fiducia e identità ecco che ritorna la sentinella della libertà. Un ritorno più o meno gradito, più o meno ben giustificato (per ora propendo per il meno, il fatto che lo spirito di Steve Rogers persista congelato nel tempo non solo mi sembra troppo stupido ma carica di un valore troppo mistico la figura di un eroe i cui poteri, per quanto super, sono sempre stati molto terreni), ma che di sicuro sembra essere in linea con il nuovo senso di rinnovamento dell'America.
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