lunedì 20 luglio 2009

1985

1985 (2009, Paninicomics, 144 pagine a colori, € 13).
Sceneggiatura di Mark Millar, disegni di Tommy Lee Edwards.


Toby Goodman è un normale ragazzino americano come tanti altri, con problemi famigliari e una grande passione per i fumetti Marvel. Passa i pomeriggi a leggere comic books e a discuterne con gli amici, o con i ragazzi del negozio, rifugiandosi in un mondo che, se non è migliore di quello reale, quantomeno ha centinaia di possibilità di esserlo in più.
La vita di Toby viene scossa quando, un giorno, avvista il Teschio Rosso. E l’Avvoltoio. E il Dottor Destino. E Hulk. E il Fenomeno. I ragazzi, si sa, hanno una fervida immaginazione e tendono a fuggire dalle situazioni difficili rifugiandosi in un mondo di loro invenzione; questo è quello che pensano le persone a cui Toby parla dei suoi avvistamenti, suo padre e il suo compagno di giochi. Poi, però, la situazione collassa e una schiera di villain invade le strade del pianeta lasciandosi alle spalle una scia di morte e distruzione. Sarà compito degli esperti salvare la situazione.

Quella che Mark Millar ci propone in questi sei capitoli è una storia dal sapore e dall’ambientazione retrò, il 1985 per l’appunto, che ha a che con gli eroi Marvel ha a che fare solo tangenzialmente, un po’ allo stesso modo di quella pietra miliare che fu Marvels di Kurt Busiek e Alex Ross. Il 1985 segna la chiusura del primo grande crossover dell’era Shooter, Guerre Segrete, in cui gli eroi e i villain vennero prelevati dalla loro vita (e dalle loro testate) per affrontarsi l’un l’altro; una storia, questo 1985, che si aggancia direttamente al finale della storica maxisaga (di ben 12 numeri), proponendosi – dice lo stesso Millar – come un seguito ideale che racconta cosa abbiano fatto i Marvel villain dopo.

Originariamente concepito come un fotoromanzo, 1985 vede ai disegni Tommy Lee Edwards, disegnatore scelto appositamente per il suo essere il più possibile lontano dal fumetto supereroistico, dal tratto fortemente pittorico, o fotografico, come dice lo stesso sceneggiatore. Questo, unitamente al modo in cui è scritta la storia, ai suoi molti dettagli espressivi, al frequente utilizzo di splash page e al concentrarsi quasi esclusivamente su Toby e Jerry, suo padre, aumenta fortemente il livello di realismo della storia. Livello di realismo che tocca il culmine nel momento in cui ai villain è dato di scatenarsi per la città. Il loro essere malvagi è spinto all’eccesso come “quello che un cattivo farebbe se esistesse realmente”: pochi sproloqui, poca naiveté nell’azione criminale e, al contrario, efferata violenza e crudeltà nel compiere il massacro. Questo, considerato anche che tutti i villain prendono ordine da una persona che fa parte dell’universo in cui vive Toby, può suonare come una condanna della reale pericolosità che quei personaggi all’epoca incarnavano.

1985 (inutile non fare immediatamente un collegamento con l’orwelliano 1984, benché dalle premesse differenti) ci offre una storia in cui il reale è reale, in cui i villain uccidono e terrorizzano e in cui la paura fa realmente paura. Una storia come non se ne leggono tante, ricca di momenti entusiasmanti e di una manciata di riferimenti calzanti al momento storico, in cui la fantasia mette sotto scacco la realtà e solo chi combatte con le armi della fantasia (e ha letto montagne di fumetti) sa come far fronte all’invasione, laddove l’esercito si trova annichilito dall’incapacità di far fronte al problema.
1985 arriva, infine, nel pieno del collasso della figura del supereroe, preso in anni di lotta al fianco di altri supereroi contro altri supereroi (i vari Civil War, World War Hulk e Secret Invasion), emblematico di una società ormai priva di riferimenti al punto da opporsi a se stessa. Gli eroi del 1985, forse più ingenui e semplici, erano più giusti e meno cinici di adesso. Una celebrazione di un momento di storia Marvel, quindi, ma anche, si direbbe, uno sguardo nostalgico su una figura – quella del supereroe – ormai contaminata della sua purezza originaria.

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