venerdì 1 marzo 2013

Frankenstein, agent of S.H.A.D.E.


Allora, cerchiamo di resuscitare il cadavere.
Una metafora che, nemmeno a farlo apposta, rilancia questo nuovo ciclo (speriamo) viene inaugurato dal nuovo ciclo di un personaggio che, di fatto, incarna il rinnovamento.
Frankenstein agent of S.H.A.D.E., di Jeff Lemire e Alberto Ponticelli, a breve arriverà anche in Italia, per Lion. Considerati gli autori coinvolti non potevo attendere, e mi son buttato sul tp americano dopo aver letto alcuni numeri della serie spillata.
Tra le serie dark (vogliamo chiamarle "serie Vertigo"? facciamolo pure) di questa new wave DC, Frankenstein è quella più action, che più si discosta dalle altre per modalità narrative, atmosfere e toni. Un misto di sci-fi e horror per una serie spara e fuggi al limite dell'assurdo.
S.H.A.D.E. sta per Super Human Advanced Defense Executive, e già dal titolo si coglie (il riferimento alle tante agenzie con lunghi e improbabili acronimi salta all'occhio a chiunque abbia masticato almeno un semestre di major americane) il tono canzonatorio di Lemire a questo genere di strutture; aspetto potenziato dalle sembianze del suo direttore, Father Time (Father Timelord?) che ogni decade rigenera il suo corpo in uno nuovo, e che a questo giro si presenta come una bimbetta in divisa marinaresca. Alle dipendenze dello S.H.A.D.E. troviamo Frankenstein e il suo spadone, oltre a un nutrito gruppo di residuati scientifico-orrorifici con le sembianze dei mostri classici del cinema horror: c'è l'uomo lupo, il vampiro, la mummia e la creatura della laguna/scienziata, se non pazza, dalla dubbia moralità; personaggi non certo di facciata, cui Lemire  si premurerà di dare uno spessore interiore durante il corso del primo volume.
Tre i blocchi narrativi del suddetto primo volume: nel primo la squadra si trova a fronteggiare un'invasione di mostri pilotata da un'oligarchia di megamostri spaziali; nel secondo – di un solo numero – Frankenstein viene mandato a caccia di O.M.A.C., crestuto energumeno dalla pelle blu; nel terzo lo SHADE tutto si trova a fronteggiare gli esperimenti falliti del proprio programma di creazione superumani.
Insomma, repetita iuvant: in Frankenstein si pesta. E tanto.

Il Frankenstein di Edmond Hamilton e Bob Kane è molto vicino alla sua contropare letteraria, così come lo è quello di Len Wein. Vira dalla tradizione il Frankenstein di Grant Morrison e Doug Mahnke, una cosa tipo Conan meets Lobo meets Hellboy (on Mars); il risultato era un cappa e spada fantascientifico molto ritmato e votato allo scontro e ai fiumi di sangue.
Lemire mantiene questa logica imbrigliandola in una stuttura più gestibile e caricando maggiormente i personaggi, seppur a discapito di buona parte della carica anarchica propria di Frankenstein. Carica che ritroviamo, principalmente, nelle scene di battaglia, nelle quali Ponticelli dà il meglio di sé per resa del caos e scelta delle inquadrature (i tuffi di Frank dall'elicottero o l'intera scazzottata con O.M.A.C. sono alcuni dei momenti visivamente più goduriosi.
Gli scenari fantascientifici (reali e virtuali) sono molto suggestivi e ben si legano a uno stile ruvido; sembra di essere tornati (finalmente) al cyberpunk anni '80 ed essersi lasciati alle spalle la chiassosa fantascienza perfettina e pulitina delle ultime pellicole; che pure può esser bella, ma che sembra sempre meno in linea con la piega che gli eventi stanno prendendo.
Il disegno è vibrante, ruvido; i mostri sono strutturalmente indefiniti, sembrano più masse archetipiche di orrore grezzo che invadono le strade; le risse sono implacabili e caotici mari di sangue, metallo, laser e carne (o chi ne fa le veci).

Da questo primo volume emerge lampante una cosa: gli spiegoni fantascientifici sono il tallone d'Achille di Jeff Lemire; con l'avvio della serie Lemire si trova un sacco di cose da spiegare, personaggi da introdurre, tecnologie da semplificare, e questo rallenta enormemente il tempo della narrazione. Procede più tonico, invece, nelle parti in cui deve effettivamente far accadere qualcosa, dimostrando come anche la violenza bruta e le risse tra energumeni siano alla sua portata.

Due sono, fino ad ora, le grandi pecche della serie:
- la colorazione di José Villarrubia, che proprio no, non va bene, appiattisce, sembra il lavoro sbrigativo di un rappresentante degli Stabilo Boss (ve ne renderete conto con l'arrivo del nuovo colorista negli ultimi numeri, presentati nel secondo e conclusivo, volume);
- il lavoro alle chine (fortunatamente limitato al solo settimo capitolo di questo volume) di Walden Wong, che stonda le figure, ammazza i dettagli e si dimentica dei neri (è pur sempre una serie in parte horror, accidenti!).
Pecche sensibili, dal momento che condizionano fortemente l'aspetto visivo di un... linguaggio visivo; già.

A conti fatti: una buona prova da parte del team (o perlomeno da 2/3 del team), una serie d'azione svincolata da logiche di continuiy (per ora, con l'arrivo di Matt Kindt ai testi le trame, più strutturate e corpose, arriveranno addirittura ad intrecciarsi con quelle di Swamp Thing e Animal Man nella lotta contro la Putrefazione) e dai ritmi (quasi sempre) serrati. Se rimpiangete Lobo dovete leggerla. Se vi piace Hellboy dovete leggerla. Se pensate che il meglio della vita sia schiacciare i nemici, inseguirli mentre fuggono e ascoltare i lamenti delle loro femmine, allora dovete leggere Frankenstein agente dello S.H.A.D.E.
Amen.


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Frankenstein agent of S.H.A.D.E., di Jeff Lemire e Alberto Ponticelli, ed. RW Lion, 160 pagine a colori, € 13,95.

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