Vorrei tornare brevemente sulla questione fumetto-cinema. La tendenza del cinema di prendere spunti dal mondo del fumetto per realizzare lungometraggi sembra prendere sempre più piede, in modo sempre più massiccio. Tanto massiccio quanto superficiale, mi verrebbe da dire, e – purtroppo – da entrambe le parti.
Da un lato, infatti, il cinema si limita a prendere in prestito personaggi, comprimari, ambientazioni e – ma non sempre – atmosfere, dando per scontato ipocritamente di riuscire a scrivere una buona storia quando il fumetto, da anni, sulle storie ci campa perché storie buone scritte ce ne sono già. Questo, ovviamente, con le dovute eccezioni.
Dall’altro si assiste ad una reazione da parte degli autori che iniziano a scrivere fumetti su committenza, funzionali a un adattamento cinematografico. È il caso di Xerxes, prequel di 300, scritto da Frank Miller quasi in modo che Zack Snyder possa avere un copione su cui lavorare. O di Kick-Ass 2, che cavalca il successo (?) del primo ed è praticamente già annunciato nella sua versione cinematografica quando ancora il primo numero deve venire pubblicato negli States (l’uscita è prevista per il 20 ottobre).
In Giappone una cosa come questa è all’ordine del giorno, visto il quantitativo spaventoso di anime tratte da manga, contro le poche storie originali, ma è vero che nel paese del Sol Levante un manga di successo viene preso in blocco e riversato in una versione animata fedele (si fa eccezione per i filler episode, necessari a evitare i momenti di vuoto dovuti al raggiungimento della versione a fumetti) e per l’autore, ce lo insegnano anche Ohba e Obata nel loro Bakuman, vedere la propria serie trasformata in episodi televisivi non può che essere un ulteriore riconoscimento.
Per la produzione statunitense non è così. C’è la presunzione di saper scrivere la storia di un personaggio solo perché sono decenni che esiste. C’è la presunzione di poter adattare una miniserie epurandola di parti ritenuti superficiali. C’è la presunzione di stravolgerla nei contenuti, nei personaggi e nei loro ruoli, nella trama, così che sia più “appetibile”. Questo e altro.
Alla luce di questo ho molto apprezzato il modo in cui lo staff Image presente al New York Comic Con, appena conclusosi, ha affrontato l’argomento. Su domanda di un fan che chiedeva notizia di eventuali accordi con case cinematografiche per produrre film tratti dai fumetti Image, Tim Seeley (Hack/Slash) ha risposto di avere avuto alcune richieste negli anni addietro. Ha però aggiunto che creare fumetti dev’essere qualcosa che nasce specificamente dalla passione per il fumetto; se poi ci dovesse essere un accordo cinematografico ok, ma – ha aggiunto Ron Marz – la cosa importante, quella che viene prima di tutto il resto, è fare buoni fumetti. Quella è la scelta di un autore di fumetti, scelta che Marz considera migliore di qualsiasi accordo cinematografico.
Ecco qualcuno che dice cose sensate. Un autore di fumetti deve preoccuparsi di quello, di scrivere buone storie, che emozionino il lettore, che lo facciano pensare e – cosa da non dare MAI per scontata – che gli facciano passare un po’ di tempo in modo piacevole. Ovvio che poi un contratto per una realizzazione in pellicola piace a tutti, e non c’è niente di male, ma non penso che ci debba essere una finalità cinematografica al momento di scrivere fumetti.
Il fumetto è un medium potente, molto più potente del cinema dal momento che lascia al lettore la totale libertà del tempo di fruizione. È narrazione, è immagine, è movimento, è simbolismo, è cultura (sia nel senso artistico che in quello popolare del termine), è molto altro e sicuramente molto di più che un canovaccio per il cinema.
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Grazie a Newsarama trovate la trascrizione di quanto detto da Seeley e Marz, assieme a tutto il report del panel Image al NYCC, qualora vi interessasse.
Da un lato, infatti, il cinema si limita a prendere in prestito personaggi, comprimari, ambientazioni e – ma non sempre – atmosfere, dando per scontato ipocritamente di riuscire a scrivere una buona storia quando il fumetto, da anni, sulle storie ci campa perché storie buone scritte ce ne sono già. Questo, ovviamente, con le dovute eccezioni.
Dall’altro si assiste ad una reazione da parte degli autori che iniziano a scrivere fumetti su committenza, funzionali a un adattamento cinematografico. È il caso di Xerxes, prequel di 300, scritto da Frank Miller quasi in modo che Zack Snyder possa avere un copione su cui lavorare. O di Kick-Ass 2, che cavalca il successo (?) del primo ed è praticamente già annunciato nella sua versione cinematografica quando ancora il primo numero deve venire pubblicato negli States (l’uscita è prevista per il 20 ottobre).
In Giappone una cosa come questa è all’ordine del giorno, visto il quantitativo spaventoso di anime tratte da manga, contro le poche storie originali, ma è vero che nel paese del Sol Levante un manga di successo viene preso in blocco e riversato in una versione animata fedele (si fa eccezione per i filler episode, necessari a evitare i momenti di vuoto dovuti al raggiungimento della versione a fumetti) e per l’autore, ce lo insegnano anche Ohba e Obata nel loro Bakuman, vedere la propria serie trasformata in episodi televisivi non può che essere un ulteriore riconoscimento.
Per la produzione statunitense non è così. C’è la presunzione di saper scrivere la storia di un personaggio solo perché sono decenni che esiste. C’è la presunzione di poter adattare una miniserie epurandola di parti ritenuti superficiali. C’è la presunzione di stravolgerla nei contenuti, nei personaggi e nei loro ruoli, nella trama, così che sia più “appetibile”. Questo e altro.
Alla luce di questo ho molto apprezzato il modo in cui lo staff Image presente al New York Comic Con, appena conclusosi, ha affrontato l’argomento. Su domanda di un fan che chiedeva notizia di eventuali accordi con case cinematografiche per produrre film tratti dai fumetti Image, Tim Seeley (Hack/Slash) ha risposto di avere avuto alcune richieste negli anni addietro. Ha però aggiunto che creare fumetti dev’essere qualcosa che nasce specificamente dalla passione per il fumetto; se poi ci dovesse essere un accordo cinematografico ok, ma – ha aggiunto Ron Marz – la cosa importante, quella che viene prima di tutto il resto, è fare buoni fumetti. Quella è la scelta di un autore di fumetti, scelta che Marz considera migliore di qualsiasi accordo cinematografico.
Ecco qualcuno che dice cose sensate. Un autore di fumetti deve preoccuparsi di quello, di scrivere buone storie, che emozionino il lettore, che lo facciano pensare e – cosa da non dare MAI per scontata – che gli facciano passare un po’ di tempo in modo piacevole. Ovvio che poi un contratto per una realizzazione in pellicola piace a tutti, e non c’è niente di male, ma non penso che ci debba essere una finalità cinematografica al momento di scrivere fumetti.
Il fumetto è un medium potente, molto più potente del cinema dal momento che lascia al lettore la totale libertà del tempo di fruizione. È narrazione, è immagine, è movimento, è simbolismo, è cultura (sia nel senso artistico che in quello popolare del termine), è molto altro e sicuramente molto di più che un canovaccio per il cinema.
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Grazie a Newsarama trovate la trascrizione di quanto detto da Seeley e Marz, assieme a tutto il report del panel Image al NYCC, qualora vi interessasse.
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