Batman - The Killing Joke [Absolute edition] (2009, Planeta DeAgostini, cartonato, 68 pagine a colori, € 9,95).
Sceneggiatura di Alan Moore, illustrazioni di Brian Bolland.
The Killing Joke appare alla fine degli anni Ottanta (1988) negli Stati Uniti e presenta quella che di sicuro è una delle pagine più particolari della carriera dell’uomo pipistrello. Alan Moore lo scrive puntando l’attenzione maggiormente sul Joker, classica nemesi di Batman, che sull’alter ego di mr. Wayne.
Forse sapeva che le storie migliori sono quelle scritte attorno ai villain; come sapeva anche Tim Burton, la cui citazione in quarta di copertina testimonia il suo amore per Killing Joke, con tutto quello che ne può derivare.
Forse no, e la reale motivazione è ad anni luce dell’affermazione qua sopra, che è vera quanto banale.
The Killing Joke si muove su due direttrici principali: il piano del Joker di far impazzire il Commissario Gordon e il tentativo di Batman di parlare col suo arcinemico al fine di porre un freno alla spirale del delirio in cui da anni si sono calati e che sa, prima o poi, culminerà con la morte di uno dei due. Oltretutto quella che potrebbe sembrare a tutti gli effetti una storia fuori continuità si colloca nella cronologia degli eventi del pipistrello in modo brutale, con la ridefinizione dello status di Barbara Gordon, che ne uscirà in carrozzella e molto vicina al suo nuovo ruolo di Oracolo.
Con una storia dalla trama semplice e dalla scrittura complessa, Moore fa breccia nella psiche dei personaggi sfondando la visione manicheista secondo cui la lotta tra eroe e villain sia una lotta tra bene e male, tra sano e folle.
«Basta una brutta giornata per ridurre alla follia l’uomo più assennato del pianeta» dice il Joker, ma questa affermazione – fa notare il vigilante mascherato – è imprecisa: se è stato così per loro due non lo è stato per Gordon.
La distinzione, dunque, si sposta tra folli e normali. La follia è già nell’individuo, nella sua forza di reagire ad una “brutta giornata”: chi impazzisce e chi no. Il motivo che lo porta ad impazzire, l’oggetto del suo odio, servirà a configurare la sua posizione al di là di una barricata in cui eroe e malvagio differiscono dall’oggetto dell’odio. Tuttavia non c’è distinzione, ed è ormai eterna l’assimilazione dell’eroe violento al villain.
Il Batman di Moore – anche su consiglio dell’assennato Gordon – ferma il Joker senza sfoggio di muscoli (benché due pugni li assesti) perché “intende seguire le regole”.
Nel 1986 c’era stato The Dark Knight Returns di Frank Miller. Nel 1987 Batman: Year One, sempre di Miller. In contemporanea con il suo Watchmen, Moore opta per una lezione su Batman, rendendolo meno sadico, meno violento, meno tatcherianamente fascista nel modo in cui sceglie di applicare la legge.
La ciliegina sulla torta è la storia delle origini del Joker, che si svolge in parallelo con la narrazione principale. È la storia di un uomo alla fine, di un artista disperato dal proprio insuccesso, che si trova di fronte alla difficoltà di mantenere la propria famiglia e il figlio in arrivo, e che allora sceglie la strada del crimine. Un uomo come tanti che sprofonda nella follia a causa del congiurare degli eventi, che gli portano via tutto. Moore lo rende umano come non lo è mai stato, sfortunatamente umano, verrebbe da dire.
Sceneggiatura di Alan Moore, illustrazioni di Brian Bolland.
The Killing Joke appare alla fine degli anni Ottanta (1988) negli Stati Uniti e presenta quella che di sicuro è una delle pagine più particolari della carriera dell’uomo pipistrello. Alan Moore lo scrive puntando l’attenzione maggiormente sul Joker, classica nemesi di Batman, che sull’alter ego di mr. Wayne.
Forse sapeva che le storie migliori sono quelle scritte attorno ai villain; come sapeva anche Tim Burton, la cui citazione in quarta di copertina testimonia il suo amore per Killing Joke, con tutto quello che ne può derivare.
Forse no, e la reale motivazione è ad anni luce dell’affermazione qua sopra, che è vera quanto banale.
The Killing Joke si muove su due direttrici principali: il piano del Joker di far impazzire il Commissario Gordon e il tentativo di Batman di parlare col suo arcinemico al fine di porre un freno alla spirale del delirio in cui da anni si sono calati e che sa, prima o poi, culminerà con la morte di uno dei due. Oltretutto quella che potrebbe sembrare a tutti gli effetti una storia fuori continuità si colloca nella cronologia degli eventi del pipistrello in modo brutale, con la ridefinizione dello status di Barbara Gordon, che ne uscirà in carrozzella e molto vicina al suo nuovo ruolo di Oracolo.
Con una storia dalla trama semplice e dalla scrittura complessa, Moore fa breccia nella psiche dei personaggi sfondando la visione manicheista secondo cui la lotta tra eroe e villain sia una lotta tra bene e male, tra sano e folle.
«Basta una brutta giornata per ridurre alla follia l’uomo più assennato del pianeta» dice il Joker, ma questa affermazione – fa notare il vigilante mascherato – è imprecisa: se è stato così per loro due non lo è stato per Gordon.
La distinzione, dunque, si sposta tra folli e normali. La follia è già nell’individuo, nella sua forza di reagire ad una “brutta giornata”: chi impazzisce e chi no. Il motivo che lo porta ad impazzire, l’oggetto del suo odio, servirà a configurare la sua posizione al di là di una barricata in cui eroe e malvagio differiscono dall’oggetto dell’odio. Tuttavia non c’è distinzione, ed è ormai eterna l’assimilazione dell’eroe violento al villain.
Il Batman di Moore – anche su consiglio dell’assennato Gordon – ferma il Joker senza sfoggio di muscoli (benché due pugni li assesti) perché “intende seguire le regole”.
Nel 1986 c’era stato The Dark Knight Returns di Frank Miller. Nel 1987 Batman: Year One, sempre di Miller. In contemporanea con il suo Watchmen, Moore opta per una lezione su Batman, rendendolo meno sadico, meno violento, meno tatcherianamente fascista nel modo in cui sceglie di applicare la legge.
La ciliegina sulla torta è la storia delle origini del Joker, che si svolge in parallelo con la narrazione principale. È la storia di un uomo alla fine, di un artista disperato dal proprio insuccesso, che si trova di fronte alla difficoltà di mantenere la propria famiglia e il figlio in arrivo, e che allora sceglie la strada del crimine. Un uomo come tanti che sprofonda nella follia a causa del congiurare degli eventi, che gli portano via tutto. Moore lo rende umano come non lo è mai stato, sfortunatamente umano, verrebbe da dire.
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